Quando, nell'annus horribilis del terremoto, fu ufficializzata la candidatura dell'Aquila a 'capitale europea della cultura' per il 2019, sull'onda della commozione e solidarietà generali, tale candidatura trovò subito sponsor e sostenitori, anche fuori delle istituzioni del capoluogo abruzzese, taluni autorevoli e super partes. Fra i primi Gianni Letta e lo stesso Governo Berlusconi. Alla candidatura della città messa in ginocchio dal terremoto, altre se ne sono aggiunte negli ultimi mesi: Venezia, Palermo, Matera fra le altre. Ora è venuto il tempo della decisione. L'Italia deve comunicare all'Europa la candidata ufficiale per il 2019, che dev'essere L'Aquila. E tale decisione, sarebbe auspicabile che avesse il consenso di tutte le altre città candidate - tutte degne, manco a dirlo! - pronte a fare un passo indietro a favore della consorella abruzzese. Le ragioni di tale scelta sono infinite: dalla storia della città alla sua singolare conformazione architettonica, dagli straordinari monumenti, palazzi, chiese, piazze, fontane, alla sua vivace vita culturale che la rende quasi unica in Italia; fosse solo per questo, L'Aquila non sarebbe diversa dalle altre città candidate che vantano storia, monumenti, palazzi, chiese altrettanto importanti. L'Aquila, però, a differenza delle altre, ha una ragione in più che tutte le altre sorpassa ed azzera, e che ha a che fare con la sua tragica storia recente. Non si invoca compassione per una città duramente provata, senza sua colpa. Ma alto senso civile.
Vista oggi, nonostante gli sforzi sovrumani dei suoi abitanti e delle migliaia di giovani aquilani 'adottivi' che frequentano le numerose istituzioni formative (Università, Conservatorio, Accademia di Belle Arti, Accademia dell'Immagine), L'Aquila è una città desolata. C'è voglia di dimenticare e ricominciare, ma come si fa avendo davanti agli occhi una città desolata? Una città con uno dei centri storici più grandi e importanti al mondo, praticamente impacchettata e vietata agli stessi cittadini, la cui vista fa venire i brividi, procura una stretta al cuore, ogni volta che, percorrendo quelle poche vie aperte del centro, capita di gettare l'occhio in strade e vicoli battuti ormai solo dal vento. Ora la città storica è un immenso cantiere; sono partiti alcuni lavori di consolidamento e ristrutturazione; altri ancora stanno per cominciare, e per altri, infine, si attende una decisione sul da farsi, che, però, tarda a venire. Ciò vuol dire che senza una accelerazione immediata, L'Aquila rischia di restare un immenso rudere per anni, forse decenni, negando la sua austera bellezza agli occhi di tutti e azzerando ogni speranza di futuro, per colpa di diatribe, fazioni, rallentamento del flusso dei finanziamenti promessi ma dati a piccole dosi.
L'Aquila deve essere proclamata 'capitale europea della cultura' per il 2019, per prospettare a tutti un suo futuro prossimo. Mancano otto anni pieni all'appuntamento, tremila giorni circa, che non sono tanti ma neppure pochi, se si mette l'acceleratore e si ha chiaro il traguardo. L'Aquila per il 2019 può, per buona parte, tornare ad essere 'com'era e dov'era'. E lo Stato non può tirarsi indietro quando viene chiamato ad assumere una decisione che a che fare con il futuro di una città, sulla quale sono puntati gli occhi del mondo. Lo Stato, ed il Governo per esso, devono assumersi tale responsabilità facendo affluire, in funzione di tale importante appuntamento mondiale, i fondi necessari; Comune Provincia e Regione, per la loro parte, si dotino degli strumenti idonei ad avviare in tempi brevi la ricostruzione, stabilendo preventivamente le linee guida; e gli abitanti tutti, smessi i panni non sempre produttivi della contestazione, si rimbocchino le maniche e si mettano al lavoro,per restituire al mondo L'Aquila, com'era prima del terremoto. L'Aquila deve tornare a volare ed i suoi abitanti con essa. Da subito e puntando al 2019.