Rivista Music@

Rivista Music@ n. 11 anno 2009

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Inondazione colorista. Futurismo 1909-2009
11
Gennaio - Febbraio
2009
Allegati
Music@ n.11 - Sommario [ pdf - 359.72 KB]

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Editoriale

L’espressione ‘Horror pleni’ è di Gillo Dorfles,al quale chiediamo sin d’ora scusa per l’indebita appropriazione. Invitato a parlare del suo recente libro, dal medesimo titolo, Dorfles stigmatizzava uno dei grandi peccati della civiltà moderna, quello di non lasciare mai alcuno spazio al pensiero, al silenzio, al dubbio, alla riflessione, con la conseguente volontà di riempire ogni spazio, colmare ogni vuoto, anzi annullarlo. E, per spiegare quanto ciò sia dannoso in ogni senso per l’uomo, raccontava di essere andato una volta a casa del direttore del Guggenheim di New York, e di essere rimasto colpito da una tela di Mondrian che da sola troneggiava in una stanza. E commentava, Dorfles: quell’opera, sola in una stanza, con tutte le altre pareti vuote, aveva prodotto in me un senso di incantamento; ma sono sicuro - concludeva il grande studioso - che se anche alle restanti pareti fossero stati appesi altri quadri, pur di altrettanta importanza e bellezza, quel senso di incantamento sarebbe svanito.
Dorfles ci costringeva a riflettere su una analoga errata concezione che sovrintende alla formazione dei programmi concertistici, quando questi allineano nella medesima serata, che so, due grandi sinfonie di Beethoven o di Brahms o di Mozart o di chiunque altro grande artista. Con quei programmi veniamo invitati a seguire la strada non sempre lineare della sofferta creazione artistica per una prima volta e poi, come se fino a quel momento avessimo solo fatto una prova generale, anche una seconda, nuovamente costretti a ricominciare il difficile percorso che porta all’incantamento artistico ed alla catarsi. (E non parliamo delle integrali o delle maratone, quella roba lì sarebbe da proibire per legge, pena il carcere). Tale concezione dei programmi da concerto è l’equivalente di quanto denunciato nel suo nuovo libro da Gillo Dorfles.
Ed allora ci vengono in mente programmi alla maniera antica, spesse volte vituperati dai geni delle odierne direzioni artistiche, ed avallati dagli stessi ignari ed incoscienti interpreti che si trasformano in
sollevatori di pesi musicali.
Una volta i programmi cominciavano con un pezzo breve, anche leggero, magari più d’uno, che serviva a scaldare l’ambiente e gli strumenti, ma anche la mente, che si voleva attizzare. Subito dopo,
immancabilmente, arrivava il piatto forte – ci si perdoni la terminologia, offensiva e spregiativa, solo perchè chiara ed inequivocabile - con la proposta di una delle grandi opere sinfoniche o cameristiche; e,poi, di nuovo un pezzo breve, di non altrettanta forza d’impatto della sinfonia, il quale doveva lentamenteallentare la tensione che l’opera centrale avev iimmancabilmente prodotta - alla maniera dell’opera di Mondrian – rimandando, alla fine, tutti a casa dopo averci fatto passare attraverso una sorta di camera di decompressione cerebro-emotiva.
La sensazione immediata che ci coglie, quando ascoltiamo una seconda sinfonia di Beethoven o di Brahms, o di Mozart, nella medesima serata, è che si sia voluto offrire in pasto ai porci le perle - senz’offesa per nessuno - avendo affatto riguardo sia per le perle che per la salute dei porci.
Pietro Acquafredda