Avevamo già iniziato a preparare da tempo la nostra inchiesta quando La Repubblica il 21 febbraio è uscita a grandi titoli con “Mozart popstar”, ovvero il boom di giovani spettatori per la Classica e l’Opera. Sorprendente! Un bombardamento di numeri a dimostrazione dello straordinario aumento di Under 30 nelle attività promosse dai grandi enti musicali. Lezioni concerto, spettacoli pensati per varie fasce d’età del pubblico, backstage, e soprattutto attività che puntano sul ‘fare musica’, per i ragazzi in primis (cori di voci bianche, orchestre di ragazzi) ma anche per gli adulti.
La quarta dimensione, quella del tempo, ci ha detto Gregorio Mazzarese, responsabile del settore Educational dell’Accademia di Santa Cecilia, è la più difficile da affrontare. Quale soglia di attenzione in una realtà sempre più frammentata da smartphone, computer e diavolerie varie? La musica, che si sviluppa nel tempo, è una sfida all’attenzione prolungata. E come ottenere risultati? Rendendo attivo il fruitore di musica, ovvero facendolo suonare. E così la musica per tutti è lo slogan di questa nostra inchiesta. Da Roma a Bologna a Milano, osservando molte realtà anche in altri luoghi d’Italia, le nostre interviste mettono a fuoco un mondo fatto di una miriade di iniziative pensate per il nuovo pubblico, talvolta in modo organico, talvolta meno ma sempre con risultati ragguardevoli. Perché, appunto, i risultati non vengono dal nulla, ma si raggiungono con un lavoro perseverante nel corso del tempo e questo hanno fatto le istituzioni più illuminate da una ventina d’anni a questa parte. E’ un investimento che può dare risultati anche in realtà più piccole, ci ha confermato Riccardo Puglisi, responsabile delle Attività di Formazione del Teatro Comunale di Bologna. E non lontano dal capoluogo emiliano un conservatorio, il “Boito” di Parma, ha ideato un master per la figura professionale di responsabile del settore Educational.
Alcune riflessioni sono doverose. Il lavoro degli enti e dei teatri spesso è andato a sopperire alle carenze di un sistema formativo generale, quello italiano, in cui la musica è l’ultimo dei pensieri e la necessità di alfabetizzazione da parte del pubblico è sentita a più livelli, anche dagli adulti che frequentano le Lezioni di musica o le Conferenze-concerto (anche su quelle abbiamo indagato, intervistando tre illustri pianisti dediti a questa attività). Le istituzioni di Alta Formazione che ruolo hanno in questo gioco? Non certo lo avranno arroccandosi in una torre d’avorio, ma piuttosto collaborando e offrendo modelli formativi aderenti alle nuove esigenze di un mondo musicale che cambia. E quindi gli studenti musicisti forse, speriamo, aumenteranno, e la società chiederà più musica per tutti. E questo vuol dire più di quanto si immagini.
Ce lo conferma anche un non musicista che però molto si intende di politica culturale. In un suo recente libro lo storico dell’arte Tomaso Montanari, che abbiamo intervistato in questo numero, scrive a proposito dell’orchestra di ragazzi al Rione Sanità di Napoli: “Quando si sente dire che si vedono ragazzini con il contrabbasso in spalla uscire dai bassi tristemente sonorizzati dalla musica neomelodica si capisce che, davvero, con la cultura intesa come riappropriazione di spazi pubblici monumentali si può fare la rivoluzione” . E allora non c’è molto da aggiungere. La musica può grandi cose. Investire sulla musica, come sulla cultura tutta, vuol dire investire sul cittadino e sull’uomo. Non si tratta di fare profitto, né di valutare le nostre istituzioni secondo parametri aziendali, ma piuttosto di considerare che - ancora ci ricorda Montanari - la conoscenza, come era per le gloriose antiche civiltà, non serve solo a sapere più cose, ma ad essere più umani.
E davvero non è poco.
Carla Di Lena